Lassù sul Monte Nebo. Un ricordo del Cardinale Martini.

Era sul finire del secolo che venni incaricata da un parroco della Diocesi di Milano di realizzare una via Crucis in affresco. Un soggetto per me inusuale, complesso, non sono un artista di arte sacra. Ma Don Armando Cattaneo, uomo illuminato, dotato di una sensibilità singolare verso i nuovi linguaggi e la comunicazione, aveva capito che avrei potuto fare soltanto una via crucis laica, molto lontana da modelli consolidati ed era pronto a rischiare.
Dopo la realizzazione della prima stazione che riportava un impianto metafisico e privo di suggestioni ambientali, mi chiese se avessi mai visto i colori della Palestina, disse che l’esperienza avrebbe potuto aggiungere molto al mio lavoro.
In quei giorni egli stava proprio lavorando alla Curia milanese per preparare un grande pellegrinaggio in Terrasanta, al seguito del Cardinale Martini in apertura del Giubileo e fu così che mi trovai in uno degli episodi più singolari della mia carriera, in mezzo a un nutrito gruppo di pellegrini che si muovevano seguendo un meraviglioso schema di itinerari e incontri ecumenici. Tappe significative da raggiungere, luoghi di forte impatto emotivo e umano, un viaggio che resterà per sempre nella mia memoria. E proprio lassù sul Monte Nebo, dopo una lunga camminata in salita con lo sguardo a volo d’uccello sulla terra promessa vista da Mosè, avvenne l’incontro di questa fiumana di cui facevo parte con il grande Cardinale Martini per poi accompagnarlo a Gerusalemme nelle successive giornate di incontri e convegni dedicate ai rapporti ecumenici ed interreligiosi. Ricordo un uomo alto, decisamente carismatico, dallo sguardo sempre attento e disponibile. Un punto di riferimento da subito per tutti, per le persone semplici presenti, per chi aveva un ruolo rilevante attorno a lui, per chi masticava teologia da tempo. Ma l’avvenimento era qualcosa di più grande di un semplice pellegrinaggio, era una forte presenza politica nel luogo che il Cardinale aveva scelto come scenario del suo ultimo tratto di vita, era il peso di una grande diocesi da lui guidata che aveva sempre guardato al futuro e alla solidarietà, alla pace e all’uomo.
Qui c’era proprio il giusto terreno per cominciare il suo lavoro in grande scala, nei territori oggi teatro di scontro razziale e nella città lottizzata da secoli dai vari credo e dalla convivenza forzata e improbabile. Solo da qui il senso del suo pensiero poteva amplificarsi per far crescere il piccolo seme della tolleranza. Qui il Cardinale era ancora pronto a rischiare.
Rischiare dove nessuno davvero ti protegge e la tua religione vale tanto quanto le altre e dove l’odio ha raggiunto livelli tali da non ascoltare più alcun dio. Ricordo la toccante visita alla “mangiatoia” delle suore di Cluny, successivamente assediata perché colpevole di assistere madri in attesa e bambini palestinesi che vivevano in villaggi ai quali era stata tolta l’erogazione dell’acqua, ma anche le bombe umane che ogni tanto esplodevano nella capitale nei luoghi gremiti da innocenti fedeli.

Lasciai le mura della città santa la mattina presto, quando nel suk ha inizio il brusio e i bambini dalle lunghe trecce si avviano da cortile in cortile verso la scuola, consapevole che i colori della mia via Crucis non sarebbero più stati gli stessi.

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