Luca Nicoletti ricorda Graziella Occhini Scaini

Non ho conosciuto molte vedove Graziellaokdi artisti devote e innamorate come Graziella Scaini. Del resto, lei e Giorgio erano letteralmente una cosa sola: arrivati alla soglia dei settant’anni, più che marito e moglie sembravano due eterni fidanzati. Se Valentino e Valentina di Raymond Peynet non fossero eternamente adolescenti, da vecchi, forse, sarebbero potuti somigliare a loro due: a Graziella e Giorgio, se non altro, per come li ho conosciuti io.

In effetti, ora che Graziella non c’è più, mi rendo conto che quasi tutto quello che so della vita di lui viene dai suoi racconti accalorati ed entusiasti: è sempre stata lei, in fondo, l’anima e lo sprone del suo lavoro. Fra loro, raccontava, non c’era mai stato motivo di litigio, salvo che per convincere Giorgio a fare le mostre: a lui bastava stare nel suo laboratorio di scultore, mentre organizzare una propria personale lo metteva in agitazione. Le non molte mostre che ha fatto, in gran parte, le deve all’accanimento spregiudicato di Graziella, che non aveva riserve a far visita nelle gallerie,a Milano e non solo, e proporre le sculture di Giorgio: «Ma non vede come sono belle le sculture di mio marito? Ma perché non gli facciamo una mostra?».

Nel dire questo, in effetti, la devozione di moglie non accecava il suo giudizio: Giorgio, come ho avuto già modo di scrivere, aveva la rara capacità di far stare la scultura “in punta di piedi”. E non era soltanto un fatto di virtuosismo tecnico, non era solo il fatto di essere fra i pochi capaci di dare alla terracotta un’articolazione spaziale di rara complessità: il mestiere, in lui, era unito a un’eleganza ornata e leggiadra, forse un po’altezzosa ma di grande stile. Quando conobbe Graziella, poi, quelle asprezze giovanili ed esistenziali della forma si erano completamente stemperate: la madre di Giorgio stessa, infatti, le disse che lei aveva reso “frivola” la scultura di suo figlio. In effetti, aveva fatto breccia con quell’aria da eterna ragazzina che tutto sommato non aveva perso nemmeno arrivata alla soglia dei settant’anni. Era stata l’unica, del resto, per cui un uomo timido come Giorgio si era sbilanciato a dichiarare il proprio amore. Lo aveva fatto a suo modo, naturalmente: mostrandole un disegno che ritraeva loro due in un ambiente pieno di animali e altre amenità, e dicendole che se lei voleva, poteva diventare un progetto di vita. Ma Giorgio, in queste cose, aveva una disarmante semplicità che evidentemente l’aveva colpita.

Non era facile, raccontava Graziella, conquistare il suo cuore: prima di allora era stata restia a qualsiasi unione impegnativa. Aveva avuto alcuni fidanzati, diceva, tutti bellissimi e più giovani di lei: gli anni passavano, e lei sembrava sempre una ragazzina a fianco di ragazzi sempre più distanti di età dalla sua. Poi questi crescevano, cominciavano a fare progettiper il futuro, e lei “fuggiva”, finché un giorno non arrivò Giorgio, che bello non era e aveva due o tre anni più di lei, ma che la faceva divertire. Li univa la passione per la fotografia, che nel tempo si è tradotta in migliaia e migliaiadi scatti. Ancora negli ultimi anni, era un’abitudine, ad ogni inaugurazione, avere dopo le foto scattate da Giorgio e Graziella, poi solo da Graziella.

In vita, se non lo avesse frenato un’inguaribile ritrosia, Giorgio avrebbe meritato molta più attenzione di quanta ne abbia avuta, e che ora sarebbe un doveroso risarcimento postumo. Tutto questo a Graziella era moltochiaro, tanto da aver deciso di smettere prestissimo la propria ricerca artistica: c’era lui che era già tanto bravo da vanificare il senso, a suo avviso, dei suoi “lavori da casalinga”. Non era vero, in realtà: agli esordi, la sua prima mostra personale aveva sollecitato anche l’attenzione di Franco Passoni; ed anche in seguito, quando preferì seguire la strada dell’illustrazione, sapeva comunque il fatto suo.

Giunse dopo per lei, dolorosa, la malattia, per lunghi decenni: quando la conobbi, mi disse che in realtà lei sarebbe dovuta esser morta già da vent’anni, per quello che aveva avuto. Invece, inaspettatamente, Giorgio se ne era andato all’improvviso il 18 gennaio del 2011: lo stesso giorno in cui Graziella compiva gli anni.

Non era preparata a un colpo del genere, e non si aspettava, forse, che sarebbe stata così fragile di fronte agli eventi: un microcosmo in cui vivevano il loro sogno permanente si era irreparabilmente infranto. Non le rimaneva che attaccarsi con tutte le sue forze a quel ricordo e fare di tutto perché la sua memoria non svanisse: doveva fare i conti, insomma, con quella difficile eredità cui vanno incontro gli eredi degli artisti, e che nel caso degli scultori rasenta i tratti della tragedia. Fosse stato per lei, il grande studio di Giorgio sarebbe dovuto rimanere intatto per sempre. Non era possibile: ecco quindi Graziella, tutt’altro che rassegnata alla malattia, imbarcarsi in un’impresa più grande di lei: dare alle scultura di Giorgio una nuova “casa”. Al suo paese natale nel pavese, Chignolo Po, si innamora di una piccola abitazione del centro: lì avrebbe fatto un “museo” tutto per lui e per i dipinti di suo padre, il pittore chiarista Francesco Scaini. La memoria di Giorgio era diventata una ragione di esistenza più forte dello stesso dolore della perdita: di vivere persé, da sola, le importava poco; ma sapeva che non doveva lasciarsi andare alla malattia perché aveva molte cose da fare per “il suo Gio”.

Più che un severo luogo espositivo, però, quella era diventata per Graziella la “casina di Chignolo”: un luogo nuovo in cui poteva costruire il monumento al suo amore per Giorgio e per la cosa più bella che le rimaneva di quel lungo sodalizio: centinaia di sculture e qualche migliaio di disegni, quasi tutti bellissimi.

Quel “museo”, che non ha ancora visto visitatori, e che lei non ha fatto in tempo a inaugurare come avrebbe voluto con gli amici, era soprattutto un luogo dell’anima: un luogo che le dava la certezza di aver fatto tutto quello che era nelle sue possibilità fare per preservare qualcosa di così bello e così delicato. Era il luogo giusto, forse, per portare avanti quel dialogo a distanza in attesa di potersi ricongiungere in un giorno non stabilito e, anche nel suo caso, vagamente annunciato e del tutto imprevisto, in una delle poche giornate terse e serene di un novembre tanto bigio e piovoso.

Non so se mi capiterà ancora di incontrare qualcuno comeGraziella, ancora capace, in età matura, di dire che «è così bello essere innamorati».

Luca Nicoletti

 

Commenti