Attendendo l’arrivo dei Barbari.

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Eccoci nel 2013 atteso da tanti. Siamo scampati all’apocalisse profetizzata dai Maya, anche se molti contavano lo stesso su un’accidentale accelerazione delle leggi del tempo per restare il meno possibile in un anno così massacrante che ci ha rotto le ossa a bastonate inferendo colpi letali alla nostra già compromessa vitalità culturale.

Ma l’anno che ci lasciamo alle spalle ci lascia in eredità la consapevolezza di ciò che oramai noi italiani siamo in tanti campi, non ultimo quello dell’arte: marginali, periferici e poco credibili. L’ Italia, terra dove l’arte è stata sempre strumento di divulgazione di pensiero della sua civiltà e i cui modelli sono stati ispiratori per tanti popoli, è ora periferia del mondo che rincorre affannosamente le idee degli altri. Basta girare a qualche vernissage per capire la povertà culturale in cui versiamo, i modelli presi a prestito, le patetiche rincorse dietro a chi ha preceduto, sgomitando, la conquista di un altrove artistico. Forse non c’è più nulla da aggiungere, è stato detto tutto.

Il “tutto è arte e il nulla è arte” dei guru della critica ha riempito di spicciola filosofia il nostro mondo estetizzante e annullato tutto. E ora per riempirci gli occhi, basta guardarsi intorno: una presina in vendita ai grandi magazzini è spesso cromaticamente più interessante di un qualsiasi dipinto, un divano Cassina più affascinante e plastico di una scultura e una puntata di Master Chef più performativa di qualsiasi performance. Non che manchino le idee, è che in arte ci siamo rassegnati a seguire. Chi oggi ha la fortuna di vedere ciò che accade nei Paesi dell’arte di punta, Cina, India, Corea, Giappone, si accorge che i giochi ormai si fanno lì, come del resto la maggior parte degli affari. Non perché c’è qualcuno più bravo ma perché lì girano i soldi. E, se c’è chi investe per aumentare il proprio prestigio personale, c’è chi ha capito che dar voce alla propria cultura è un modo per far crescere il credito del proprio Paese. In questi nuovi scenari ci sono i collezionisti e i galleristi europei a caccia di freschezza ed esotismo. Da noi restano solo luoghi vuoti, concorsi a pagamento, fiere prezzolate…

Intanto i colleghi d’oriente attingono dal nostro passato a piene mani, mischiano, confrontano, contaminano, rielaborano. L’energia e la fiducia nel domani li guida. Basta andare ad una mostra a Delhi o a Shanghai per rendersene conto. Mentre noi stiamo qui ancora a dire che che ci stanno copiando… Inutile ricorrere il Sistema dell’arte, è tempo sprecato. Occorre guardarsi intorno senza spocchia né presunzione. Come dice Marco Meneguzzo nel suo libro “Breve storia della globalizzazione in arte, e delle sue conseguenze” forse occorre un innesto di energie fresche da un altrove che preme per entrare nel territorio codificato dell’arte. E, citando la poesia di Kostantinos Kavafis “Aspettando i barbari”, ci descrive come una cultura stanca seduta ad aspettare, come una liberazione, l’arrivo a un tempo pericoloso e risolutivo dei “barbari”.

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