Da Dario Fo al nulla

Da Dario Fo al nulla.
Domenica milanese di un giugno plumbeo e papale. Prendo la bici per raggiungere Palazzo Reale e  c’è un’atmosfera sospesa, postumi di un “mistero buffo” che si ripete. Strade larghe, gente calma, Milano quasi zen. Ultima giornata per andare a vedere la mostra di Dario Fo. Quasi un ripensamento, volutamente non ero andata prima perché non mi piacciono gli eventi “mondani”, e questa mostra ne ha avuto proprio il sapore.
Entro nelle sale e tutto appare come in uno spettacolo giullaresco, come così deve essere per un autore come questo. In un mix di pittura, video, scenografie e teatro c’è in scena il Dario sconosciuto, quello che prima di scrivere le sue storie le butta giù col pennello. Quello che non ha mai dimenticato la pittura imparata all’Accademia di Brera e che, ripresa proprio in questi ultimi due anni con un’incredibile produzione di tele e con l’aiuto di giovani artisti, ha dato il pretesto a Milano per celebrare di dovere questo suo grande personaggio.
Temi sociali, come i morti sul lavoro, gli sbarchi a Lampedusa e il terremoto all’Aquila riempiono le sale e i colori sono forti, quasi accecanti. Le figure disegnate a pennarello, spesso su una base fotografica, si mischiano a collage e ad altri elementi simbolici. La mostra va al contrario e, partendo da oggi, si arriva ai suoi primi quadri, più belli e freschi, alle sue manchette per gli spettacoli, ai suoi dolcissimi ritratti di Franca. Penso che Dario ha sempre il coraggio di essere se stesso, anche in pittura. Non rinnega le sue battaglie in nome di una capacità stilistica o di un aderenza ai gusti del contemporaneo. Egli ha sempre considerato l’arte, il teatro, la letteratura, un omaggio all’uomo, alle sue speranze, alla sua dignità, alla sua lotta personale e collettiva per la felicità e i diritti. Forse è questo che lo rende così grande anche se non è un gran pittore e da questo molti artisti oggi dovrebbero provare a ripensarsi, nel senso dell’impegno e dell’affrancamento dal mero commercio senz’altro scopo. In una saletta, poi, mi fermo per lungo tempo davanti ad alcune foto che raccontano ciò che accadeva a Brera negli anni sessanta, il bar jamaica, il ritrovo di artisti e scrittori, le comuni artistiche, la sperimentazione. Poi è arrivata la “Milano da bere” e ha spazzato via tutto…
Per capire cosa è rimasto ora dell’arte, basta uscire dalla mostra di Fo e visitare quella adiacente dedicata alla Collezione Acacia: il nulla messo in scena dai suoi collezionisti.
Torno a casa con la consapevolezza che i tempi della ricchezza intellettuale si sono persi nelle scorciatoie e nella fretta. La lezione di un grande e vecchio artista di teatro, forse ci aiuterà a ritrovare il senso?

P.S. Oggi 3 giugno alle 17,00 Dario Fo e Franca Rame saranno probabilmente presenti alla mostra.

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