Milano, ritorno alla normalità.

Torno nel mio studio in via Ventura dopo la sarabanda e tutto mi appare come l’ora dopo la fine di un mercato. Terminata la settimana del Fuorisalone si procede con lo smontare, ripulire, ritornare alla normalità. Lentamente riprende il ritmo di sempre, di una zona che ha vissuto il suo momento da protagonista e si prepara a rientrare nella quotidianità di periferia dalle grandi potenzialità. Ricordo che portai qui la mia amica Allison, della Lonely Planet, a scoprire le nuove gallerie e rimase stupita dal gnocco fritto, dallo spirolazzo, dallo skyline della Scuola Politecnica di Design, dalla scritta Luna rubata alle Varesine e dalla magnifica chiesa quattrocentesca di San Martino in Lambrate.

Ma forse è tutta la città che si sveglia da un sogno metropolitano che l’ha resa star globale, anche se per poco, capace di entrare in una dimensione multicentrica e valorizzare i suoi tanti volti e le sue potenzialità. Perché questo accade solo una volta all’anno? Eppure tutto il marchingegno che muove questa settimana e che coinvolge orizzontalmente tantissime attività potrebbe restare vivo, perché Milano non è soltanto la grande abbuffata del salone del mobile. Ciò che viene offerto “one spot” e, spesso, nemmeno così eccezionale, potrebbe essere riprodotto per altri avvenimenti non solo con il lusso della moda o con i tentativi commerciali delle notti bianche.

Qui si sono visti indiani, tedeschi, americani, inglesi, giapponesi, ma anche comaschi e leccesi, non soltanto alla ricerca del pezzo di alto design ma a godere anche l’arte, la musica, l’happening, le performance, l’enogastronomia, il passeggiare a vuoto con il naso rivolto ai nuovi quartieri finalmente mappati. Molti protagonisti si sono improvvisati, altri hanno programmato, tanti si sono “imbucati”.

Non è un elogio al Fuorisalone, attività mondana che non amo più di tanto, ma forse bisognerebbe ripartire da queste esperienze culturali e pensare alle potenzialità per tornare ad essere un polo di attrazione grazie alle nostre capacità creative troppo spesso mortificate da chi crede che con questo genere cose si mangi solo una volta all’anno.

 

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