Appunti su Guttuso

di Luca Pietro Nicoletti
L’occasione di vedere dal vero molte opere di Renato Guttuso, come nella mostra curata da Fabio Carapezza Guttuso ed Enrico Crispolti per il centenario della nascita del pittore al complesso del Vittoriano a Roma, permette una serie di rilievi sulla tecnica e sulle modalità operative del pittore di Bagheria. Oltre al passaggio da una pittura memore di Novecento a un ductus più fluido ed espressionista che, per il tramite e grazie all’esempio di Corrado Cagli, lo porta ai più noti modi degli anni di “Corrente”, ci si rende conto che quasi sempre la pittura di Guttuso, al di là della consistenza materica del singolo quadro, presenta una costruzione compositiva per assemblaggio di singoli elementi che, nell’insieme, formano un racconto. Bastano pochi esempi.
Non ci si rende conto, a uno sguardo distratto, di quanto i Funerali di Togliatti del 1972 sia un quadro articolato, quasi cifrato al di sotto della prima impressione di corteo corale assiepato intorno alla salma del segretario di partito. Ad uno sguardo ravvicinato, infatti, ci si rende conto di quanto sia stata travagliata la gestazione di quest’opera, più preoccupata della sua costruzione di contenuto che della compiutezza formale del quadro: sono i travagli, si direbbe, di un quadro programmatico con cui si intende raggiungere e superare il modello del grande quadro di storia tramandato dall’Ottocento. Non si potrebbe capire questo quadro, infatti, sena ricordare il forte debito ideologico del pittore siciliano verso le grandi tele di David del periodo rivoluzionario: Guttuso, con i Funerali, intende attribuirsi lo stesso ruolo emblematico di una tensione politica e di un momento storico, accettando anche il rischio della narrazione retorica che è implicito nel quadro celebrativo. Risulta abbastanza evidente, in particolare, se si osserva il quadro da vicino: se tutte le grandi tele di Guttuso sono fatte secondo una logica di montaggio di parti fra loro separate, infatti, qui l’assemblaggio è più evidente anche nell’esecuzione materiale dell’opera. Il dato tecnico, più che in altre tele di Guttuso, è particolarmente emblematico: si tratta infatti di acrilici e collage di carte stampate su carta incollata su quattro pannelli di compensato. Da una parte, un uso intenso del collage si riconosce nella baroccheggiante corona di fiori intorno alla testa di Togliatti, che ha un tono particolarmente vivido e irreale proprio grazie all’uso di fiori ritagliati da rotocalchi. Se si osserva attentamente il corteo che accompagna il feretro, però, ci si accorgerà di vistosi pentimenti nella composizione del gruppo. È noto, infatti, che all’interno di questo gruppo si mescolano teste di invenzione e ritratti di persone vere, da Nilde Iotti a uomini di cultura come Sartre, Vittorini, Quasimodo, Del Filippo e molti altri, chiamati idealmente a raccolta intorno alla salma del politico. Non si ha però a che fare con un quadro-documento che testimonia chi fosse realmente presente al funerale, perché Guttuso inserisce all’interno del quadro anche delle “grandi ombre” come quella di Lenin, ripetuta in quattro punti diversi del quadro. Guardando da vicino il quadro, però, ci si rende conto che queste teste sono state dipinte a parte, ritagliate e incollate nel quadro in un secondo momento, forse a sottolineare quell’aspetto irreale e allegorico del quadro: sono un preludio, forse, alle Visite, dove l’accostamento di elementi conduce in una dimensione onirica.
Una dimensione invece del tutto assente nella grande Vucciria del 1974: se i Funerali erano un grande quadro di storia, questo è un quadro prettamente neorealista che rivisita in forme monumentali i modi della pittura di genere. È quasi inutile far notare che il vero protagonista di questa tela sia la natura morta, mentre le figure sono poco più che un complemento che dà una pausa di respiro e un asse compositivo assiale: eppure, la scelta di mettere in primo piano una figura femminile di spalle (non senza qualche malizia) offre una chiara indicazione circa la collocazione dello spettatore rispetto al quadro, invitandolo a seguire la giovane donna nel suo angusto percorso. Si tratta infatti dell’unico quadro di grandi dimensioni di Guttuso in cui la dimensione narrativa sia attutita (sempre che non si intenda come racconto la semplice descrizione di oggetti), anche se non viene meno il procedimento per assemblaggio di parti separate. Le minori preoccupazioni ideologiche e la minore complessità iconologiche, però, consentono a Guttuso di realizzare, in questo caso, una pittura più compatta e accurata, formalmente compiuta (forse formalistica) nel definire ogni singolo elemento nei suoi valori plastico-cromatici. Questo, però, non impedisce al pittore di trasformare il dato reale (il mercato rionale) in una visione: come un Merbau popolare, il suo accumulo pare fatto per non essere mai smontato, tale è l’intrico e l’affastellarsi delle cassette di frutta, pesce e verdure. Eppure è un implicito omaggio alla pittura del Seicento, dai napoletani alla Macelleria dei Carracci: per una volta, aver dipinto un bue squartato non è un omaggio al Rembrandt, e nemmeno a Francis Bacon.

Luca Pietro Nicoletti, storico dell’arte, sta svolgendo un dottorato di ricerca presso l’Università degli Studi di Milano, dove ha studiato con Giovanni Agosti, Paolo Rusconi, Silvia Bignami e Antonello Negri. Ha collaborato alla stesura del catalogo Altri quaranta dipinti antichi della collezione Alberto Saibene a cura di Giovanni Agosti (2008). Si interessa di pittura, scultura e grafica del secondo Novecento in Italia e in Francia. Da anni si occupa dell’opera dell’editore, scrittore e critico d’arte Gualtieri di San Lazzaro, su cui sta scrivendo un libro di prossima uscita, e del quale ha curato la riedizione del romanzo Parigi era viva (Firenze 2011).

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