La mostruosa bellezza di Elena

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Elena incarna il mito della bellezza: una bellezza tanto leggendaria da aver scatenato la guerra più famosa della letteratura. E tanto leggendaria che su di lei si è costruita persino un dibattito sui modi della bellezza: è per raffigurare Elena che Zeusi, ad Atene, fece condurre nel suo studio le sette più belle fanciulle di Atene, in modo da poter cavare, unendo le parti migliori di ciascuna di queste, il ritratto di una bellezza ideale.
Ma tanta bellezza può avere un lato mostruoso, quando si spezza il binomio bello/buono, e l’aspetto esteriore diventa un’ossessione quasi malata e fine a se stessa: diventa un magnifico contenitore della peggiore aberrazione morale. Diventa un “fantasma”, come ripete continuamente la protagonista di Elena. Tragedia lirica sulla deriva del mito di Maddalena Mazzocut-Mis e musiche di scena di Azio Corghi, in scena al Teatro Elfo Puccini di Milano fino al 9 novembre. uno degli spettacoli più belli e toccanti, credo, fra quelli fin qui ideati dalla Mazzocut-Mis e messi in scena, con acume critico e vivace invenzione scenica, dalla regia di Alessia Gennari. Cosa succede, però, se la tragedia si cala nei tempi moderni, negli interni borghesi, e si attualizza nei costumi e nell’intreccio? Il mito, allora, va alla deriva, come suggerisce il titolo, per diventare un dramma borghese. Non è una semplice riscrittura, a cui ci hanno abituato molti lavori recenti della stessa autrice: se era possibile “riscrivere” Verdi e Hugo, Shakespeare e Sardou, in questo caso si trattava di dare a Elena un corpo e una voce che nel mito non possiedono. Modernizzare il mito, insomma, significava dargli non tanto un corpo scenico, quanto una voce e delle parole nuove, e un intreccio narrativo da cui potesse trasparire un commento implicito sul personaggio e su quale significato potesse avere oggi. Ecco dunque in scena Elena Russo Arman (Elena) e Sara Urban (nei panni di Medea e non solo), in una scenografia che le vede granitiche protagoniste in dialogo (anzi monologo) con le presenze maschili del mito, ridotte ad abiti unidimensionali. È dalle voci delle due attrici, accompagnate dall’ensemble vocale Calycanthus –che, come nella tragedia greca, fa da contrappunto lirico, da accompagnamento e da commento alla storia- che affiora un intreccio di passioni e tradimenti: Elena, prigioniera della sua irresistibile bellezza e incapace di resistere ai propri sensi e al desiderio di essere al centro dell’attenzione, è diventata una tentatrice, come una Salomè di inizio Novecento, che mette in atto un piano diabolico e calcolato per far cadere ai suoi piedi Paride, che è padre di famiglia con un figlio invalido e malato. Paride cede alla tentazione e fugge/rapisce Elena: non vanno a Troia… ma fanno una gita in montagna! A quel punto, il suicidio di Medea, che uccide il proprio figlio insieme a sé per punire Paride, diventa un drammatico evento di cronaca. Su tutto, lo dice la protagonista, stessa, c’è un pesante «odore di provincia». Ma la figura di Elena, eroina terribile come Teodora in un precedente spettacolo della Mazzocut-Mis, emerge nella sua terribile autocoscienza, nel mito mostruoso della sua bellezza che non può essere gualcita dal tempo, chiedendo anzi «vendetta per tanta bellezza», al punto da sacrificare tutto, anche una figlia che non ama, perché troppo diversa da lei.
In questo modo, il mito, andando alla deriva, è entrato nella tessitura di una vita più prossima al presente: non si è svilito, non è diventato una caricatura ironica (come potevano essere le rivisitazioni mitologiche di Alberto Savinio) perché l’intensità drammatica della recitazione, il tono aulico e solenne della recitazione alternata al cantato, danno nuovo spessore a quel dramma. Il mito, in fondo, è un archetipo delle angosce profonde e del più cupo dramma: Elena e Medea, in fondo, esistono tutt’oggi, adattandosi ai tempi, alla moda e alla cosmesi. Ma la natura profonda dei sentimenti, la dialettica fra gli istinti profondi e la società delle apparenze hanno cambiato abito, ma tenuto lo stesso nocciolo di sostanza: e la tragedia, che si rinnova e si attualizza, mantiene il tono alto ed emozionante del racconto lirico.

Luca Pietro Nicoletti

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