L’elasticità del Laocoonte

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Gabriele Poli non è nuovo alle pratiche di reinterpretazione di opere del passato: dopo le Muse dello Studiolo di Belfiore e soprattutto dopo la grande tela in omaggio a Géricault, ora è il turno di un’opera di scultura. è anche il momento di un forte salto a ritroso, poiché il Laocoonte è l’opera cronologicamente più antica che abbia attirato la sua attenzione.
Il procedimento è sempre lo stesso: una serie di disegni di studio, dalla copia al disegno a memoria fino alla reinterpretazione. Sono disegni di sintesi nati per appropriarsi della composizione e per mettere a punto una adeguata restituzione pittorica di un modello a tuttotondo. In definitiva, il suo è stato un doppio lavoro di traduzione: dalla forma plastica alla dimensione del quadro, e da questa al proprio vocabolario personale, con la complicazione di dover trasporre in linea, tono e colore (o in monocromia) una forma che non ha colore.
Sarebbe sciocco, a questo punto, anche se la tentazione è presente, instaurare un confronto fra pittura e scultura, o una eventuale competizione fra le due, in virtù delle ricerche materiche di Poli, poiché nulla era più lontano da lui del voler fare un rilievo in pasta acrilica: il suo Laocoonte, in fondo, è un vettore di tensioni contrapposte: era un moto tormentato, estraneo però anche alle questioni poste da Lessig in merito al gruppo antico. Piuttosto una particolare predisposizione d’animo e le contingenze biografiche, a fargli scoprire (e riscoprire) quel dramma sotterraneo, quella tensione fino allo spasimo del sacerdote troiano avvinto dai mostri marini. Non gli interessava, tuttavia, la narrazione mitologica, quanto lo specifico della rappresentazione, del movimento, e il suo dinamismo. Oppure, di quel mito, estrapolava un significato metaforico, cioè quel dramma che, scrive l’artista stesso, «io individuo anche nell’incomunicabilità, paradosso dell’attuale mondo della comunicazione che come il serpentone ci circonda e ci isola ». In tal senso, Poli effettua una traduzione di impianto futurista: ha scomposto il movimento e lo ha trasposto nelle sue linee di forza. In questo modo il gruppo scultoreo si è come rianimato, e il suo movimento ha quella “elasticità” di dinamismo cromo-luministico che era ignota alla statuaria antica.

Di Luca Pietro Nicoletti

Il dipinto è in mostra allo “Spazio Tadini” a Milano, fino al 15 febbraio

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