Arte e cultura. È qui i futuro dell’Italia?

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di Barbara Pietrasanta
Poche sere fa ero a cena con amici e la discussione è andata sulle possibili scelte post-maturità dei nostri figli. Con mio forte stupore, quelli che solo un anno fa non consideravano neppure che si potesse pensare ad un futuro professionale che contemplasse arte, cultura e beni culturali, oggi hanno fatto un deciso passo indietro.
Per la prima volta ho sentito porre l’accento su scelte umanistiche o artistico-creative, mirando anche all’appagamento degli interessi dei figli più che alla mera logica delle leggi di mercato. Quale mercato poi?

Sarà che oramai tutto è stato delocalizzato e l’Italia non offre alcuna eccellenza nel campo scientifico e tecnologico che è davvero anacronistico pensare che queste siano le direzioni su cui puntare. A meno che non si vada a lavorare all’estero, come stanno facendo la maggior parte dei nostri migliori e non migliori cervelli.

Una scelta comprensibile che ci ha impoverito e continua a foraggiare il sistema globalizzato del quale noi siamo diventati solo un desolato e marginale paese di provincia.

Ma quello che ci resta è molto, se ci pensiamo bene. E cioè tutta la nostra cultura e italianità, fatta di arte e luoghi d’arte, con beni di valore inestimabile disseminati su tutto il territorio, un inimitabile paesaggio non riproducibile e non esportabile, la cultura del bere e del mangiare che impera da sempre nei menù dei ristoranti nel mondo, per non parlare di chi l’arte e la cultura la fa e delle eccellenze in campo creativo per le quali siamo famosi nel mondo con tutta la filiera che ne consegue.
Questo è attualmente il nucleo più vitale della nostra economia, dai dati riportati nell’articolo apparso solo pochi giorni fa su “Lettura” del Corriere della sera e del quale vi riporto il link
http://lettura.corriere.it/la-cultura-si-mangia-e-fa-tanto-bene-ai-conti/
Per non parlare, poi, di tutto quel settore inerente la cultura fruibile nel tempo libero, perché non si vive di solo pane. Intendo, ad esempio, lo spettacolo, il teatro e il cinema, di cui abbiamo esempi di alta qualità, ma che, purtroppo, tirano avanti per l’amore e l’iniziativa privata di qualche magnate quando sarebbe un settore da potenziare anche con ‘aiuto di fondi pubblici.
Ricordate quanti soldi pubblici -cioè usciti dalle nostre tasche- abbiamo dato alle industrie, vedi Fiat, nel corso dei decenni per poi ritrovarci ripagati con lo smantellamento delle sedi produttive, licenziamenti, casse integrazioni e la fuga del marchio all’estero?
Ecco, credo che i nostri soldi pubblici ora dovremmo investirli diversamente destinandoli a questi settori che che troppo spesso mancano di fondi adeguati.

Dovremmo valorizzare le nostre scuole, che offrono una formazione, nel settore dei beni culturali e dell’arte, di ottimo livello, papabili anche dagli studenti stranieri
Abbiamo tra le migliori facoltà del mondo e i nostri ragazzi sono costretti ad andare a studiare in altri paesi solo per un più probabile successivo sbocco lavorativo.
Il Politecnico di Milano, in primis la Facoltà di architettura, è di certo una delle più rinomate al mondo e offre, oggi, una serie di branchie interessanti e creative con l’entrata, anche di seri professionisti, come docenti. Ricordo, sempre a Milano, l’Accademia di Brera e, in particolare, la specializzazione di scenografia, riconosciuta per la qualità e per il suo collegamento con i luoghi dello spettacolo, la Scuola di teatro Paolo Grassi, oggi Accademia, la scuola Civica del Cinema, e le private Naba e Ied. E se ci spostiamo a Venezia, a Firenze e a Roma troviamo un’ampia scelta di facoltà mirate e altamente specializzate.

Dovremmo lavorare cambiando la logica di fruizione dei nostri musei, costruendo pacchetti esportabili che creino indotto e affermazione della nostra cultura all’estero.
Purtroppo il nostro paese però, non valorizza né qui né all’estero la propria cultura e chi la produce preferendo, secondo logiche poco comprensibili, dar spazio a preconfezionati prodotti provenienti dall’estero, come le sempre eterne mostre di Picasso, impressionisti e quant’altro non sia italiano, dando spazio ad artisti, anche contemporanei, d’oltreoceano con i loro eventi eventi foraggiati da logiche speculative straniere.

Si pensi che solo con le opere abbandonate nei depositi sotterranei di scuole d’arte, accademie, castelli e musei, potremmo creare centinaia di eventi o prestiti ad altri paesi, creando sistema di scambi e profitti.
Le banche aprono scintillanti musei con le loro collezioni private, frutto di speculazioni monetarie, e noi possediamo valori che potrebbero salvare gran parte del nostro debito pubblico se solo li affittassimo o vendessimo a paesi che, certamente, li conserverebbero e valorizzerebbero adeguatamente.

Insomma è un universo ricchissimo, quello della nostra creatività e cultura che , se ben amministrato, valorizzato, potenziato e messo a frutto potrebbe dare lavoro e futuro a tantissimi dei nostri giovani.
Allora io mi auguro che questa situazione drammatica italiana di forte decrescita dia luogo ad una riflessione seria da cui ripartire per un’economia italiana da ripensare, guardando proprio a ciò che abbiamo e sappiamo fare. Ma soprattutto a quello che ci resta
Forse dovevamo proprio arrivare alla frutta per aprire gli occhi a questa possibilità?

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