L’ipocrisia di chiamarsi “Vogue”.

Ho appena terminato un servizio fotografico per un cliente del settore moda per il quale ho dovuto battermi sulla scelta delle modelle che rispettassero criteri che per me sono fondamentali nel promuovere valori e modelli legati all’ideale femminile.
Primo fra tutti il concetto di magrezza. Valore diventato il numero uno nell’immaginario legato alla bellezza. Oggi il complimento quotidiano è diventato” ti vedo bene, sei dimagrita!” In una società dove il cibo è status e l’opulenza culinaria è resa manifesta dalla quantità di programmi televisivi dedicati a ricette e ai guru della tavola, il contraltare è fatto di bellezze filiformi, patite, emaciate e gare televisive di diete e spettacolari perdite di chili e grasso. La mia lotta furibonda innanzitutto è stata con il fotografo e la stylist, condizionati dal trend, che mi hanno sottoposto composit di bellezze strapagate provenienti dall’est che si contendono i servizi su prestigiose testate, prima fra tutte Vogue. Non vi dico lo spettacolo dal “vero” di queste ragazze, talmente magre che  non si può credere mangino qualcosa (dicono che si gonfino lo stomaco con il cotone per procurarsi un senso di sazietà). Spalle ridotte, quasi rachitiche, così lontane dal concetto di fisico atletico e ben sviluppato che ci porta a far fare un po’ di nuoto ai nostri figli, gambe senza alcuna fascia muscolare e teste grosse sui corpi alti e anoressici che, alla vista, ci possono solo ricordare tempi lontani di privazioni e torture. Però vengono bene in foto, vestono bene e senza rotondità, pur sempre con una molletta dietro a fissare l’abito 38 che ballonzola. I volti, zigomi sporgenti e occhi infossati sono espressivi, sofferti, così come piace adesso, come piace alla truccatrice di turno che si esalta con colori diafani e polveri rossastre per un effetto vampiresco . Bellezza “Vogue” si definisce in gergo, riferendosi ai servizi della testata che la divulgano. Ma allora come mai proprio Vogue ha proposto la “The health initiative” di cui parlano in questi giorni i giornali e che attesta il suo rifiuto di lavorare con modelle che «sembrano affette da disturbi alimentari»? La redazione inglese ha fatto una lista degli scopi che rientrano in questa iniziativa. «D’ora in poi non lavoreremo più con modelle che non abbiano ancora compiuto il 16esimo anno di età o che sembrano soffrire di disturbi alimentari», recita il comunicato. «Collaboreremo invece con ragazze che a nostro parere sembrano in salute e che possono veicolare un’immagine sana del corpo femminile».
Ma in che film? In quale servizio? La realtà è che le testate e le agenzie di modelle propongono ben altro perché è ben altra la realtà che sta dietro all’obiettivo e io mi sono trovata a scegliere tra un parco di “top model” esageratamente sottopeso optando per quella leggermente più in carne. In sostanza non c’è bisogno di farsi pubblicità per prendere posizioni che sono semplicemente legate al buon senso. Nessuno obbliga a scegliere modelle anoressiche e chi è responsabile di un servizio può propendere senza pressioni per una scelta consapevole. Non occorre nessun patto perché nessuno ha fissato alcun parametro di taglia e misura obbligatori.
Esco dal casting e penso: ma dove son finite le bellezze “american style” da me un tempo criticate e che ora rimpiango tanto? Le bellissime Cindy Crawford, Linda Evangelista, Claudia Shiffer, Naomi Campbell, sane icone anni “90”e tutte quelle che a loro si ispiravano. Forse la crisi ha travolto anche i parametri di un tempo e guardato solo al soldo, si risparmia e si pesca nella ridondante offerta di belle e povere ragazze russe che arrivano cercando fortuna, fanno sacrifici alimentari e si accontentano di poche lire per poi tornare al paese e mantenersi gli studi.

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